articolo di Maria Lisma
C’è un luogo che si chiama fantasia, e c’è una pianta che si chiama creatività. Li ho trovati in uno splendido “Teatro di Paglia”. Niente palchi reali o posti d’onore, perché tutti gli inviati sono re e degni d’onore. I sedili imbottiti di stoppie, qualche stuoia a terra, dove si è più vicini al sogno. Bambini entusiasti e stupiti, genitori presenti e attenti, qualche nonno qua e là, e gli educatori per i bimbi senza nonni e senza genitori. Non è richiesto l’abito lungo e neanche il frac, niente papillon e acconciatura.
E non si paga il biglietto! Solo poche regole, durante lo spettacolo: occhi aperti, orecchie aperte, bocche chiuse e cellulari spenti.
E allora, è possibile partire per un viaggio sempre nuovo e affascinante. La meraviglia si stampa sui volti dei presenti, che alternano risate e stupore, curiosità e incanto. E poi, per tutti, applausi a scena aperta, sì, perché il Teatro di Paglia non ha neanche un sipario, lo scenario è un grande albero che ha per frutti le lampadine accese all’imbrunire. La musica si diffonde per mano di tecnici che si confondono con il pubblico. E il teatro nel teatro, si chiama “Giardino dell’Emiro”, nel Parco di Miragliano, luogo prezioso che viene restituito alla tradizione, alla cura e all’amore dei cittadini.
E dietro un’ora di spettacolo, c’è un lungo lavoro, non solo degli artisti, tutti bravi e generosi, ma dell’organizzazione, che mobilita risorse, forze dell’ordine, volontariato e gratuità, in un momento storico che richiede coraggio e attenzione.
Ma soprattutto, c’è una visione che pone i bambini al centro di un pensiero che non li vuole solo consumatori, ma protagonisti di un percorso di crescita in armonia, fatto di sperimentazione, di cura, di aperture a nuove possibilità.
I bambini “mangiano” ciò che noi diamo loro da mangiare e frugano anche nella spazzatura se questa resta l’unica fonte di nutrimento per loro. Se gli offriamo solo pessima televisione, o video giochi solitari, o realtà virtuali, o stanze piene di cose e vuote d’amore, di questo si alimenteranno. Se diamo loro giochi veri, storie fantastiche , narrazioni affabulanti, se offriamo la possibilità del volo, della scoperta, della meraviglia, questo apprenderanno. Si apriranno a questo mondo, attiveranno le loro risorse e le loro potenzialità, condividendo con il vicino una balla di paglia, sotto l’occhio vigile dei genitori che per un’ora lasciano le preoccupazioni da un’altra parte e tornano anch’essi bambini.
Dietro l’esperienza del teatro di paglia c’è una cooperativa, Solidarietà e Azione, che lavora con i minori e le famiglie e che pone come condizione fondamentale, la formazione permanente dei propri operatori e c’è un progetto nazionale, “E se diventi farfalla” che propone sfide per contrastare le povertà educative attraverso la creatività. E c’è anche una amministrazione comunale che ci crede e offre il gratuito patrocinio.
Ecco, questo va fatto. Tornare ad esperienze condivise, che arricchiscono in modo trans generazionale e confluiscono nella costruzione di una cultura della bellezza e della accoglienza, della condivisione, del sogno che diventa progetto, e che diventa realtà.
Dal mio sedile di paglia, ho assistito allo spettacolo che aveva, nei bambini davanti e accanto a me, altri splendidi protagonisti. Dei bambini tunisini, interagivano con i mazaresi, che a loro volta interagivano con qualcuno dei paesi vicini (da noi, si sa, bastano pochi chilometri per cambiare inflessione dialettale) e con qualche bimbo settentrionale arrivato in vacanza. Gli occhi sgranati, la voglia di partecipare, la pipì che scappa e allora bisogna scappare, il panino a morsi (chè per noi i figli devono sempre mangiare..), le foto con gli attori, le domande impertinenti, le scelte della vita ( “da grande io faccio l’acrobata che già faccio la capriola senza mani!”). E pensavo a quanti bimbi nello stesso momento, forse addirittura ancora sui seggioloni, stavano smanettando con un cellulare, imparando a pigiare sui tasti e non a riconoscere le proprie emozioni.
Certo, non è facile. Quello che può sembrare banale, richiede lavoro, impegno, costanza. Ma è su questo che si deve investire, perché la fantasia, la conoscenza attraverso l’esperienza, la libertà di fare, di condividere, di rispettare, di vivere il contatto con la natura, di sbucciarsi le ginocchia e di rialzarsi, dovrebbero essere garantiti a tutti, come il diritto alla gioia. Anche a quei bambini (quanti ancora?), che hanno cercato in mare la libertà e hanno trovato la morte.
Ripensiamolo questo mondo, prima che sia troppo tardi. E per ripensarlo, partiamo da qui, dal posto in cui ciascuno di noi si trova, con gli strumenti che ha.
Si spengono le luci sul teatro di paglia e si accendono ancora su una vita che spesso è avara di applausi eppure pretende inchini. A noi il compito di riscrivere il copione con un altro splendido finale.
tratto da: https://www.primapaginamazara.it/ultime-della-sera-insegnami-a-volare?fbclid=IwY2xjawEfPDtleHRuA2FlbQIxMQABHTaSynJBTZ9VG3ukrU6zW4vTy0djVgkrgom2cFzK5aiFgsR9KM6ZDA8Wyg_aem_OPGlxFfpGSZsxr25GgNC0g&sfnsn=scwspwa
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